Dic 22, 2015 Circolari ed avvisi per il personale

Le attività di viaggio organizzate dalla scuola fino a qualche decennio fa avevano una finalità precisa e condivisibile: quella di consentire ad alcuni giovani che non si erano mai allontanati dalla casa dei genitori o dal paese natale di vedere e conoscere altri luoghi. Personalmente ricordo, quasi venti anni fa, lo stupore di alcuni alunni, mentre il pullman attraversava una zona sciistica ad alta quota. Per quegli alunni lo straordinario panorama delle Alpi e la neve abbondante che copriva il paesaggio naturale e le case rappresentava uno spettacolo nuovo e suggestivo. Mi chiedo, tuttavia, se oggi un tale stupore abbia senso. In altri termini, mi domando quanti siano i giovani di oggi che, grazie alla scuola, possono compiere esperienze che la famiglia, per ragioni economiche o culturali, ha loro precluso.

Non ho dati a disposizione, ma la mia impressione è che, salvo una ridotta minoranza, la maggior parte dei nostri alunni non viva l’esperienza del viaggio scolastico come un momento emancipativo. La scuola ha senz’altro il compito di educare e l’educazione – come suggerisce l’etimo latino – rappresenta un “condurre fuori” i giovani. Ma cosa vuol dire “fuori”? A mio avviso significa “allontanare i giovani”, in senso culturale, dalle famiglie, intese come contesti “naturali” di condizioni socio-economiche ascritte. In atri termini, significa consentire ai giovani di vedere la loro vita da una posizione esterna a quella della famiglia in cui si è nati, in maniera tale da relativizzare l’esperienza stessa e consentire loro di apprezzare modi di vita e valori diversi da quelli conosciuti nel mondo vitale della famiglia stessa. Personalmente penso che questa funzione della scuola non sia affatto esaurita e che anzi le forme di integralismo religioso e culturale oggi emergenti rafforzino le ragioni alla base di un tale funzionamento dell’istituzione scolastica.

Ciò, tuttavia, non si attua più tramite i viaggi. Oggi i giovani, mediamente, hanno la possibilità di viaggiare e lo fanno anche con poche risorse economiche. Mi chiedo, quindi, se la scuola nella società attuale debba continuare a svolgere il ruolo di organizzatrice di viaggi che la assimila sempre di più a un’agenzia turistica. Il viaggio scolastico ha ormai perso la valenza educativa profonda che ho cercato di descrivere, poiché le famiglie generalmente consentono ai giovani di compiere tali esperienze.

In tal senso mi domando se abbia senso per la scuola organizzare attività complesse, come sono i viaggi scolastici, che espongono la scuola stessa, il dirigente e gli accompagnatori a rischi di natura giuridica e non solo? Sempre più spesso la cronaca racconta di incidenti nel corso di tali viaggi e i giornalisti indulgono nella ricerca di responsabilità. Ha senso tutto questo?

La mia personale opinione, per l’anno venturo, è che la scuola debba organizzare solo attività per le quali il viaggio risulti dotato di evidenti e particolari valenze didattiche ed educative. A titolo di esempio, indicherei tra di esse quelle connesse all’apprendimento della lingua (in particolare dell’inglese) e quelle correlate a situazioni didattiche specifiche, come la visita a un cantiere per gli alunni del corso CAT. Gli altri viaggi, quelli che hanno una generica valenza culturale, per esempio quelli a Praga, dovrebbero essere sospesi. Chi vuole andare a Praga, può andarci da solo o con i genitori.

Certamente porrò la questione all’odg di uno dei futuri collegi.


Passo adesso ad altre questioni.


Sabato scorso abbiamo aperto la scuola per ricevere i genitori e i ragazzi di terza media. C’è stata una notevole affluenza, superiore a quella degli anni passati e ciò rappresenta un buon segnale. Tuttavia non siamo autorizzati a un facile ottimismo. Il proverbio “una rondine non fa primavera” racchiude un’antica saggezza, che non deve essere dimenticata.

Mi sembra più utile cercare di sviluppare alcune riflessioni sull’incontro di sabato scorso.

Durante la presentazione della scuola, infatti, ho notato negli occhi dei presenti, in alcune occasioni, il  lampo della curiosità. Sia i genitori sia gli alunni sono apparsi molto “colpiti” quando abbiamo parlato di droni, ma non solo. Ho notato curiosità anche quando abbiamo descritto le nuove didattiche: flipped classroom e debate. Anche i docenti presenti hanno notato questa attenzione dei genitori che mostravano di condividere l’idea che, più delle discipline, contino le modalità di insegnamento. La presentazione del debate, in biblioteca, tra i due leggii destinati proprio a tale pratica, ha catturato l’attenzione. Ho l’impressione che i genitori immaginassero con piacere i loro figli impegnati in quella attività.

Stando a queste reazioni, i punti di forza della nostra scuola sono proprio questi e noi dobbiamo perseverare nelle pratiche innovative, che generalmente non sono oggetto di attenzione nella scuola italiana. Il proverbio citato sopra, “una rondine non fa primavera”, è antichissimo e già Aristotele lo indicava per suggerire che la virtù non può essere praticata sporadicamente. In tal senso l’innovazione dovrebbe essere costante nella nostra scuola. Come ho affermato più volte, noi navighiamo contro corrente, cioè contro il trend nazionale delle iscrizioni che ci penalizza. Se ci fermiamo, non solo non andiamo avanti, ma anzi siamo trascinati indietro. L’innovazione didattica rappresenta una prospettiva significativa, la sola atta a farci intravedere un cambiamento positivo.


Concludo rivolgendo a voi tutti auguri di buone feste e soprattutto auguri di positivi cambiamenti. Il nostro Paese e la scuola intera ne hanno una profonda necessità.


 

IL DIRIGENTE SCOLASTICO
Prof. Alessandro Artini